Ficca il naso

domenica 15 aprile 2018

La cavalleria: i miti da sfatare


Diciamolo, è indubbio: la cavalleria possiede una portata epica capace di scaldare il cuore di qualsiasi amante della storia o del fantasy. Merito anche della cinematografia (la carica dei rohirrim prima su tutte), le forze militari in arcione occupano un posto speciale nella romanzistica fantasy, che però, allo stesso modo in cui peccano tanti registi, raramente conosce il reale iter di uno scontro a cavallo. 
Esistono certo numerose variabili da considerare, dopotutto parliamo di un ambito artistico e non di storiografia o rievocazioni, ma perché non sfatare qualche mito, anche solo per curiosità personale?
Ecco a voi allora i tre grandi errori sulla cavalleria!

Iniziamo con una bella contestualizzazione: la cavalleria non è sinonimo di medioevo. Ovviamente si parla di cavalleria nel senso di unità militare in arcione ad animale di razza equina (sebbene esistano pure unità cammellate o addirittura su zebre) non dell'etica cavalleresca dei nobili europei. Infatti sia in epoca antica che in epoca moderna la cavalleria ha giocato un ruolo fondamentale nel panorama bellico di quasi l'intero globo terracqueo, nonostante l'introduzione in alcuni scenari delle armi da fuoco. Nell'immaginario collettivo si pensa sempre al cavaliere medievale rinchiuso in un'armatura di piastre in sella al cavallo bardato, ma oltre che essere una figura più rinascimentale, è stata soltanto una delle tante forze a cavallo, neppure una delle più importanti! Basti pensare ai catafratti parti, alle orde mongole, agli ussari settecento ottocenteschi o ai raitars svedesi. Che fossero armati di archi, di lance, di fruste, pistole o moschetti, i cavalieri hanno sempre costituito una forza importante in ogni esercito degno di tale nome. I motivi sono semplici: mobilità, rapidità, forza d'impatto. La cavalleria leggera erano gli occhi e le orecchie di un'armata in marcia (considerate che mezzi di comunicazione  rudimentali possedevano i generali pre seconda guerra mondiale), quella armata di equipaggiamento a distanza poteva conquistare posizioni invidiabili in poco tempo (pensate ai dragoni, unità di fanteria armata di carabina, almeno in età napoleonica, che smontava per sparare contro un bersaglio) e infine la potenza con cui una cavalleria pesante travolgeva qualsiasi unità a piedi senza alcuna coesione, tale da disperderla in pochi minuti e costringerla a una rotta. Non solo! La cavalleria era spesso l'unico mezzo per vincere davvero una battaglia: poiché i morti nello scontro erano pochi rispetto a quanto si possa immaginare (sia con armi da fuoco che non) l'inseguimento del nemico in rotta rappresentava il momento adatto per infliggere un colpo mortale al morale e alle truppe avversarie. Chi allora poteva se non la cavalleria occuparsi di questo compito glorioso? Vorrei ad esempio far notare quante perdite abbiano causato i temuti cosacchi alle truppe napoleoniche in ritirata durante la spedizione in Russia.


In cosa sbaglia così spesso la nostra cinematrografia, dunque?
Per prima cosa, la carica. Sembrerà strano, ma gettarsi al galoppo contro una formazione nemica è il miglior modo per farsi massacrare. La cavalleria doveva mantenere coesione per sfruttare appieno la forza d'impatto, non doveva fare stancare troppo i destrieri (che non erano delle motociclette), infine un eccessivo urto avrebbe potuto danneggiare più i cavalieri che il nemico, visto che per sopraffare un fante non serviva tanto la velocità, quanto la massa del cavallo e il vantaggio dell'altezza. Bisogna poi considerare che i cavalli valevano tanto (anzi valgono), in particolare quelli da guerra: sforzarli in modo esagerato poteva avere conseguenze devastanti non solo per la salute del cavaliere, ma anche per le sue finanze, visto che nella stragrande maggioranza dei casi era lui stesso a dover procurarsi il cavallo. Inoltre il campo di battaglia raramente era un terreno regolare, pulito e ben disteso, quindi la carica doveva tenere conto di eventuali ostacoli capaci di azzoppare, o peggio, il prode equino.

Seconda cosa, l'impatto. Parlare di impatto non è semplice, è facile generalizzare troppo: basti pensare alla differenza tra la staffa e la mancanza della stessa, tra la resta, la carica ginocchio contro ginocchio oppure tutte le numerose formazioni di cavalleria descritte nei manuali ottecenteschi. Per non precipitare nei tecnicismi della tecnica militare, mi limiterò a illustrare un concetto ridotto certo all'osso: dimenticatevi il 90% delle scene girate con effetti speciali al computer. Scordatevi i rohirrim che abbattono orchi su orchi con la mera forza del cavallo, cancellate dalla mente la battaglia dei due bastardi in Got dove i cavalli si cappottano uno contro l'altro. I cavalli sono bestie intelligenti, nonché molto timorose: mai si getterebbero contro un altro loro simile in un atteggiamento così suicida, senza contare il cavaliere stesso. In realtà l'impatto poteva aversi in due modi: contro la fanteria il cavaliere diventava una sorta di rullo compressore, lento e inesorabile, capace di spingere indietro i fanti e calare l'arma sulle spalle degli avversari. Un cavallo poteva calpestare un uomo, ma certo non poteva gettarne a terra a ripetizione come fossero birilli. Il povero equino potrà anche essere forte, però un tale impatto lo sentirebbe anche lui! Il secondo metodo era cavalli contro cavalli: in questo caso gli animali tentano di scartare sul fianco del destriero avversario, non colpirlo in pieno. In pratica uno scontro tra cavalieri diventava una questione di nervi, formazione e abilità mista all'equipaggiamento del cavaliere, che duellava contro l'altro. Per questo la cavalleria pesante era notoriamente avvantaggiata in tali scontri, visto che il passeggero era molto più difficile da ferire rispetto al corrispettivo leggero. Un'altra discriminante poteva essere la qualità del cavallo o la semplice mole.


Infine, ultimo mito più da specificare che da sfatare, è il ruolo della cavalleria in battaglia: per questo ultimo punto entro nello specifico, alias l'epoca medievale, che è quella va più di moda negli scrittori di fantasy e nel panorama artistico attuale. Il cavallo era merce rara, non solo perché appannaggio dei nobili, ma proprio perché di cavalli ve ne erano pochi e costosi. Aggiungiamo pure che chi li montava era il figlio di un nobile, ecco che il numero di operazioni belliche della cavalleria si restringe. 
In epoca medievale, almeno nel panorama europeo, le battaglie campali erano pochissime, superate da saccheggi, assedi, schermaglie. Nelle battaglie campali, poi, la tipica cavalleria feudale poteva trovarsi limitata nell'operare a causa del meteo, del territorio irregolare, del semplice istinto di auto conservazione. Un muro di picche innalzato da contadini poteva diventare un ostacolo insormontabile, nessun cavaliere ci avrebbe mai caricato contro (salvo alcuni casi di stupidità estrema o semplici errori di valutazione) al contrario di come si può vedere in tanti film pseudo storici. Ancora una volta il cavallo diventava un mezzo per muoversi sul campo di battaglia, per esplorare le zone, per darsi al saccheggio, per proteggere la retroguardia o anticipare l'avanguardia, tutti ruoli che la cavalleria leggera assolveva con maggiore prontezza dei cugini pesanti. Ciò significa che i tanto amati scatoloni di ferro a cavallo fossero inutili? Assolutamente no: le armi da tiro (anche le armi da fuoco, notorialmente imprecise fino a metà dell'ottocento) non potevano quasi mai scalfire le corazze, i nemici sprovvisti di armi in asta e di una formazione erano prede facili nella mischia (considerando che per tutto l'alto medioevo le formazioni semiprofessionali capaci di mantenere la disciplina per reggere uno scontro avverso a unità in arcione erano rarissime) e infine il mero effetto psicologico di questi corazzati ante litteram poteva gettare nel panico le milizie feudali deputate a respingerli.

Regogolo Boemetto

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2 commenti:

  1. Agincourt o Agincourt.
    Ovvero quando il "gestaccio" V fu inventato.
    Se a un inglese mostri indice e medio a V dalla parte del dorso della mano questo si arrabbierà molto.
    Cosa c'entra tutto questo con l'articolo?
    La presunta invulnerabilità dei cavalieri pesanti di Carlo VI alle unità di arcieri si infranse contro i longbow di Enrico V.

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    1. E' molto interessante notare come le armature svolsero bene il loro lavoro anche in tale frangente: le maggiori vittime furono i cavalli, completamente privi di protezione contro i potenti archi lunghi. I cavalieri francesi dovettero soccombere alla fatica, al terreno avverso e a tre milioni di frecce inglesi!

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