Ficca il naso

sabato 15 settembre 2018

Un vecchio conto in sospeso: Marignano, 1515


Del fiero ducato di Milano era rimasta una pallida ombra.
Massimiliano Sforza veniva sfruttato come un burattino dai Cantoni Svizzeri, che dopo le tante vittorie nel corso degli anni si erano trasformati in una potenza regionale. I Francesi avevano ridotto gli stati italiani all'impotenza dopo le continue invasioni, anche l'astro di Venezia si era affievolito. Per l'Italia si stava per aprire un periodo di continue dominazioni straniere: sembrava che per primi toccasse agli svizzeri, adesso signori della Valtravaglia, Valcuvia e della Val D'Ossola (in mano ai Vallesi).

Eppure l'Italia non si sarebbe piegata né ai francesi né tantomeno agli svizzeri, ma avrebbe presto il suo posto nel sogno imperiale di Carlo V. Tuttavia in quel momento la Francia risultava essere l'unico alleato contro la Svizzera: Francesco I aveva attraversato le Alpi con 50.000 uomini e 70 cannoni, deciso a prendere il controllo del ricco Ducato. Colti di sorpresa, gli svizzeri abbandonarono i Colli del Monginevro e ripararono a Milano, dove la popolazione era stremata dal malgoverno di Massimiliano e dalle ruberie degli elvetici. A Gallarate si venne alla stipula di un accordo: i francesi offrivano concessioni agli svizzeri, ma in realtà negoziavano con il Papa alle spalle dei confederati. Dopo la firma del trattato, il Canton Berna, Friburgo, Vallese e Soletta, si ritirarono con 10 000 dei propri soldati, indebolendo le forze del Ducato di Milano.

L'esercito Svizzero agì comunque con grande coraggio.
Invece di attendere all'interno delle vecchie mura Milanesi, incapaci di reggere a un bombardamento, e soprattutto per il timore di un insurrezione dei cittadini, i confederati marciarono contro i francesi, intercettandoli nei pressi del villaggio di Zivido, sulle sponde al Lambro. L'armata francese era imponente: 2.500 gendarmi pesanti a cavallo, 1.500 cavalleggeri italiani, 10.000 fanti mercenari francesi, italiani, guasconi, baschi, 9.000 lanzichenecchi, tra cui i temibili veterani dell'armata nera. Questa forza (circa 6000) era chiamata così perché indossavano livree nere, molti simili a quelle bande nere italiane che sarebbero nate 2 anni dopo nelle guerre dD'Urbino. Questi guerrieri sarebbero stati poi tacciati come traditori, perché continueranno a combattere per la Francia contro i loro compratrioti che invece si schierarono per l'Impero.
Infine svariate migliaia di mercenari italiani: anch'essi indossavano livree nere, decisi a vendicare i tantissimi affronti ricevuti dagli svizzeri (come a Morat).
L'armata confederata era formata da 20,000 veterani, i più temuti combattenti sul campo, affiancati da circa 5000 soldati milanesi, ben poco propensi a combattere con i loro dominatori.

I Francesi non si dimostrarono all'altezza della situazione: prima che sorgesse il sole il campo francese venne assalito dagli svizzeri, i quali rubarono molti pezzi di artiglieria e ferirono lo stesso re Francesco I.
I Lanzichenecchi (come accadrà in tanti altri scontri) non ressero il confronto con i picchieri svizzeri: i loro ranghi vennero sfondati, portandosi dietro nella fuga anche i guasconi, i francesi e i baschi. Solo i mercenari italiani tennero duro.
Essi potevano sfruttare le ottime armature pesanti e la superiorità di fuoco donata dagli archibugi per rallentare l'avanzata svizzera.
Fu Gaspard I De Coligny, poi nominato Maresciallo di Francia, a rinserrare i ranghi dell'armata reale, che per un soffio non venne annientata.
Alle quattro del mattino gli svizzeri si accamparono, non essendo riusciti a rompere lo schieramento francese.
Le perdite di questi erano state tantissime (circa 6000 soldati) e la giornata successiva pareva essere in mano agli svizzeri.

Ma la mattina dopo, dalle alture vicine allo scontro, garrì il Leone di San Marco. 12.000 veneziani, al comando di Bartolomeo D'Alviano, si gettarono contro le forze degli odiati svizzeri. Circondati dalle due armate, i confederati tennero duro prima di essere massacrati senza pietà: gli italiani furono spietati, immergendo le lame nei guerrieri elvetici al ricordo dei morti di Morat. Tra gli svizzeri le perdite furono altissime, solo metà dei picchieri riuscì a tornare a casa (circa 10.000 morti).

Marignano rappresentò la fine dell'espansione svizzera: da quel giorno i confederati non si arrischiarono più in offensive extraterritoriali.
La loro influenza sul Ducato di Milano era finita e i loro balliaggi delle valli vennero restituiti ai nuovi dominatori (non prima di aver distrutto e saccheggiato il territorio, facendo scempio di tantissime opere d'arte e castelli, in particolare in Valcuvia).
Ma la guerra era ben lungi dall'essere giunta a una conclusione.
La Francia si ergeva quale nuova vincitrice, anche grazie all'alleanza con la repubblica Veneta, eppure all'orizzonte si addensavano nuvole nere.

E dietro di essere baluginava l'aquila imperiale...

Regogolo Boemetto

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